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Ho scelto di partire perché ho sentito, nel profondo, la necessità di assistere con i miei occhi alla migrazione epocale che stava avvenendo così vicino a noi ed esserne parte e raccontarlo come mi riesce spontaneo fare, con la mia macchina fotografica.
Ho iniziato questo progetto nel 2015 per descrivere il viaggio di quanti sono stati costretti ad abbandonare il loro paese, in fuga da guerre, persecuzioni e discriminazioni. Un numero incredibile di rifugiati, migrano lasciando la Siria, l’Iraq e l’Afghanistan.
Giovani, anziani, bambini, intere famiglie, si mettono in viaggio per arrivare nel nord Europa.
Lasciano le loro case e proseguono il viaggio su gommoni stipati di persone verso l’isola di Lesbo, in Grecia, a soli 3 miglia dalla costa turca. Pagano fino a 1.500$ a persona per l’attraversamento. Non tutti sopravvivono.
Lesbo è la prima terra sicura che riescono a raggiungere. Da lì in poi il nord Europa è sempre più vicino e il viaggio meno pericoloso, ma non per questo meno duro. Una volta raggiunta la riva, sono soccorsi da volontari e forze dell’ordine locali.
Durante il mio soggiorno a Lesbo, nel settembre del 2015, sono stato testimone di molti sbarchi: le persone si buttano dal gommone che si avvicina alla riva. Urlano “libertà” come toccano terra. I bambini piangono per la paura, il freddo e la fame. I loro vestiti ad asciugare sugli scogli di Mytilene. Uomini e donne dormono sulle panchine dei parchi pubblici. Un uomo siriano trasporta il figlio disabile. Molti di loro passano la giornata guardando il mare da cui sono arrivati, aspettando un modo per riprendere il viaggio. Fanno file di ore per comprare biglietti passeggeri per le navi verso Atene e, da lì, raggiungere Idomeni in autobus. L’ultima destinazione greca.
Dopo aver attraversato i campi minati del confine turco-siriano ed essersi nascosti dalle organizzazioni criminali, i rifugiati raggiungono il territorio Macedone.
Nella sola giornata del 2 novembre 2015, 4000 migranti sono arrivati a Tobanovce da Gevgelija, in Macedonia, trasportati da treni speciali, taxi e autobus.
Una volta a Tabanovce, il viaggio continua a piedi per 4 Km in una terra di nessuno fino a Presevo, la prima città Serba.
Prima di arrivare a Presevo, bisogna aspettare di essere registrati, in attesa senza cibo acqua, aiuti sanitari o medici, per giorni interi. Molti rifugiati arrivano al confine zuppi e con un principio di ipotermia. Nel centro di registrazione i volontari e la polizia distribuiscono sacchi della spazzatura, da usare come mantelle, e coperte termiche per cercare di tenere all’asciutto le persone in coda. Operatori locali e internazionali, ONG e Caritas, lavorano 24 ore al giorno per scaldare e tenere al sicuro chi attraversa la città di Presevo.
Dopo la registrazione, i rifugiati possono prendere un autobus per Sid (costo del biglietto: 35€ a persona), l’ultima città serba vicino al confine con la Croazia.
Ho seguito un convoglio di 18 autobus, pieno di rifugiati siriani, iracheni e afgani, bloccato per ore nella stazione di servizio di Adasevci, lungo l’autostrada a soli 10 Km da Sid. Al convoglio, infatti, non è stato dato il permesso di lasciare l’area fino a quando i treni speciali, diretti al campo croato di Slavonski Brod, non sono stati pronti.
In alcuni casi, i rifugiati hanno dovuto aspettare fino a venti ore prima di poter riprendere il viaggio. Dal casello di Tovarnik, la polizia croata ha organizzato gli autobus e i treni verso nord da quando, nell’ottobre del 2015, l’Ungheria ha chiuso le frontiere, bloccando così quella strada di accesso all’Europa.
L’idea principale del progetto era di mostrare le storie e le emozioni dei migranti. La disperazione. La gioia. La soddisfazione. La paura. Sullo sfondo, il viaggio, il loro passaggio, le migliaia di schiene e di piedi che calpestano sentieri e attraversano binari. L’ immensa moltitudine si tramuta in una galleria di volti, che rappresentano la varietà dei loro sentimenti: gli occhi disperati di una donna tra la folla; il gesto amorevole di un padre che sorregge il figlio; il pianto ininterrotto dei bambini.
Le mie fotografie sono sempre il frutto di un coinvolgimento e di una presa di posizione. Ho avvicinato queste persone. Le ho conosciute, ascoltate e abbracciate, mi sono mescolato a loro e da loro mi sono fatto catturare.
Vorrei che le mie immagini facessero muovere lo spettatore dalla dimensione generale di quello che sembra un fiume infinito e indefinito di persone, a una dimensione più privata, dove ogni singolo individuo e la sua storia sono parte di una tragedia collettiva.
Stefano Schirato
One Way Only
Senza voltarci indietro
Inaugurazione 10 Novembre 2017, ore 12
1o novembre 2017 – 8 gennaio 2018
dom – ven | 9 • 12 | 14 • 17
Galleria di Palazzo Scaligero
Via S. Maria Antica, 1
Verona
Start Date
Location
Via S. Maria Antica, 1
Verona